Sono tanti e tanti anni che conosco Rodolfo, da quando tutti e due ci siamo avvicinati alla terapia familiare a metà degli anni settanta. Eravamo giovani, pieni di speranze e sperimentavamo con questo nuovo linguaggio, emozionati dei cambiamenti che il pensiero sistemico apportava.
Psichiatra, è stato allievo di Andolfi, poi dal 1977 trainer all’Accademia. Nel 1981 fonda l’Istituto di Terapia Familiare di Firenze che ora ha circa una trentina di sedi affiliate in altre città, radunando intorno a sé un gruppo di donne forti e competenti, Cristina Dobrowolski (co-fondatrice), Daniela Giommi, sua compagna di vita e madre delle figlie Camilla e Lucrezia, Katia Giacometti – grande teorica – e Maria Alberta Bianchi, prima moglie, fondamentale segretaria dell’Istituto e madre della figlia Diletta.
Solare, curioso, appassionato di film e fotografie si è da sempre occupato dell’uso relazionale delle immagini, sollevando l’invidia di noi colleghi perché sempre è stato avanti sugli aspetti tecnici, ludici e piacevoli delle presentazioni. Me lo ricordo nel 1975 al primo convegno internazionale di terapia familiare organizzato da Andolfi al CNR di Roma, invitati Don Block, Peggy Papp, Olga Silverstein, Marianne Walters, Rosamary Whiffen (della Tavistock di Londra), Harry Aponte e Moni Elkaim, ribelle con le scarpe da ginnastica che faceva il paziente designato nella simulata cui tutti assistevamo trattenendo il respiro. Me lo ricordo a Firenze nel 1978 al grande Convegno Internazionale dell’Accademia organizzato al Poggio Imperiale; alcuni clinici si ricordano certamente la prima supervisione sistemica da lui programmata a Venezia nel 1982 con Whitaker, Andolfi e Minuchin. Come dimenticarsi poi il convegno sempre da lui organizzato nel 2007, sempre a Firenze – un vero successo – “Umorismo e altre strategie per sopravvivere alle crisi emozionali”? Attualmente era presidente dell’European Family Therapy Association (EFTA) e stava organizzando assieme a noi il Convegno Internazionale EFTA-SIPPR di Napoli dall’11 al 14 settembre di questo anno.
E ho fatto emergere solo la punta di un iceberg, rispetto alle mille attività da lui proposte e portate avanti.
Era sempre in attività ma faceva tutto con gentilezza, come stesse ad una spanna da ciò che accadeva. Così riusciva a prestare attenzione agli altri con tenerezza, portando avanti però caparbiamente un suo progetto personale, che aveva a che fare con la necessità di comprendere come si vive, come si può stare bene.
Rodolfo ci ha lasciati questo lunedì 18 febbraio, è partito per un altro viaggio, e noi – addolorati – gli auguriamo buon viaggio.
Umberta Telfener