Il ricordo di Pietro Barbetta
Chi era Humberto Maturana? Uno studioso particolare. Uno scienziato vero, lontano dalle pratiche “evidence based”, coltivate dagli odierni carrieristi. Piuttosto creatore di nuove osservazioni e di nuove lenti per osservare la natura e non solo, anche la mente e la società.
Un biologo, uno psicologo e un epistemologo. Uno di quegli epistemologi che traggono le proprie riflessioni dalle pratiche scientifiche che elaborano e dalle esperienze che creano, in laboratorio e attraverso l’osservazione della vita e dei suoi percorsi, negli organismi viventi, nei soggetti e nelle comunità.
Assieme a una vasta schiera di longevi – Gadamer, Ricoeur, Dorfles, Morin, che ancora vive a cent’anni, von Foerster e molti altri – Maturana è uno dei saggi della cultura occidentale. Ma è anche, insieme a Francisco Varela – suo allievo, morto prematuramente – un autore che ha pensato al legame profondo tra il corpo, la mente e le loro affezioni, uno Spinoza contemporaneo. Quando leggemmo Autopoiesi e cognizione, l’opera chiave della sua vita con Francisco Varela, ci appariva ostica. Negli anni Ottanta eravamo immersi nella cultura umanistica: letteratura, filosofia, psicologia e antropologia. Oppure si studiava biologia e medicina, ma c’era una scissione radicale tra umanisti e scienziati naturali. Era una grande fatica comprendere il linguaggio di biologi che erano, al contempo, epistemologi.
Vado a memoria, senza virgolette, ma all’incirca, le frasi ostiche erano: L’orientante orienta l’orientato nel dominio cognitivo dell’orientato; i sistemi sono strutturalmente aperti, ma organizzativamente chiusi; poi i concetti: deriva strutturale, autopoiesi, accoppiamento strutturale, cibernetica, cibernetica del second’ordine, ecc. Alcune parole sembravano ingegneristiche, altre legate agli studi sulla comunicazione, poi c’era questa “cibernetica”, la scienza dei nocchieri, infine il passaggio alla cibernetica del second’ordine. Di che si trattava?
La cibernetica nasce da Norbert Wiener e riguarda la creazione di dispositivi meccanici con retroazione. Significa che questi maccanismi ricevono informazioni dall’ambiente che li regola. Il classico esempio è il termostato, il feed-back è quello strumento che permette ai termostati di autoregolarsi verso una temperatura definita. All’inizio, per noi intellettuali umanisti, era quasi un’offesa: come si permettono costoro di parlarci di termostati, a noi filosofi? In realtà Gregory Bateson, antropologo e cibernetico, su richiesta di Wiener, era riuscito già a pensare, attraverso la cibernetica, una macchina schizofrenica. Anni dopo Gilles Deleuze e Felix Guattari fonderanno la schizo-analisi attraverso il concetto di inconscio come macchina desiderante, ispirandosi esplicitamente a Gregory Bateson. Di qui, per Maturana e altri, una riflessione sulla complessità, che dà vita alla cibernetica del second’ordine.
La cibernetica del second’ordine fornisce due principali considerazioni che cambiano la scienza: primo, l’osservazione delle relazioni e delle connessioni tra le cose, tra gli organismi, tra i soggetti, piuttosto che l’osservazione delle cose, degli organismi e dei soggetti, come enti isolati; inoltre la cibernetica del second’ordine si interessa delle connessioni tra chi osserva le relazioni e le descrizioni che fornisce l’osservatore.
Non possiamo non pensare a un altro grande autore francese che, in campo storico, fece la stessa operazione intellettuale chiamandola “metodo genealogico”: Michel Foucault. Maturana aveva scritto con Francisco Varela una serie di testi, eppure i due autori, fin dall’inizio, non avevano le stesse posizioni, la diversità fu una risorsa, pensavano la complessità, che è in primo luogo differenza. Su un tema differivano: l’amore.
Varela focalizza i suoi studi sperimentali sul tema dell’embodiment, che in italiano viene tradotto con mente incarnata, anche se sarebbe proprio tradurre embodiment con “incorporazione”. In questo senso Varela si avvicina ad autori come Gilbert Simondon, Bruno Latour, Bernard Stiegler. L’amore è dunque una manifestazione corporea del campo affettivo. Maturana invece sviluppa il tema dell’amore come collante nelle relazioni bio-psico-sociali. La psicopatologia potrebbe essere intesa come “corruzione dell’amore”, avvicinandoci al pensiero di Niklas Luhmann (in particolare al saggio L’amore come passione).
Per questo, Maturana e Varela sono tra i grandi esponenti della “scienza romantica”, così definita da Alexander Lurjia e ripresa da Oliver Sacks. Nel campo del lavoro con Matríztica, il nome stesso dell’istituto lo segnala, Maturana e Davila si riferiscono all’immaginario generativo come centro di tutta l’impresa di formazione e terapia del loro Istituto a Santiago del Cile.
Ho incontrato varie volte Maturana, negli Stati Uniti, alle conferenze dell’American Society for Cybernetics e in Italia. L’ultima volta fu durante un convegno nell’ambito dell’Esposizione Universale, al padiglione del Cile, nel 2015. Venne a tenere un seminario con Ximena Davila. In quell’occasione, Maturana invitò il Centro Milanese di Terapia della Famiglia a un confronto, come era accaduto altra volte. Fu una mattina molto particolare, il suo rapporto con i colleghi italiani era disponibile e dolce, mentre negli Stati Uniti, davanti al pubblico, era decisamente più freddo. Forse non aveva chiuso i conti con quel paese che lo aveva ospitato, ma che aveva, attraverso il suo governo, portato al potere la dittatura di Pinochet. Si racconta di lui che, durante il regime di Pinochet, prima di essersi salvato, riuscendo ad andare all’estero, fosse stato interrogato perché gli trovarono in casa opere di Marx. Lui rispose che si meravigliava di chi lo interrogava: criticavano Marx senza conoscerlo? Pare che, gli aguzzini, ignoranti e confusi, lo avessero rilasciato momentaneamente, ciò gli permise la fuga dalla sua culla: Santiago, dove era nato il 14 settembre del 1928.
Il ricordo di Umberta Telfener
Incontrai Maturana altre volte, per esempio, nel 2002, a un convegno a Torino per commemorare la scomparsa di un altro grande ispiratore della cibernetica del second’ordine: Heinz von Foerster. In quell’occasione, quasi vent’anni fa, durante la parte della discussione con il pubblico, gli chiesi di spigarmi il concetto di “deriva strutturale”, che non avevo compreso. Lui rispose più o meno così: immaginate di essere su una barca in mezzo al mare e di avere perso i remi. Possedete solo una bussola e una ricetrasmittente. Chiamate, con la trasmittente, il faro più vicino per avere soccorso. Il faro chiederà la vostra esatta posizione per inviarvi una nave da salvataggio. La barca giunge sul posto, ma voi siete da un’altra parte. La deriva strutturale è la vita che scorre.
Mi ricordo un viaggio in treno da Zurigo a St Gallen in Svizzera, serata senza nuvole, e Ciccio – Humberto Maturana – che racconta miti e storie della luna piena che splende nel cielo. Era febbraio 1987. Con voce pacata, attenzione concentrata, intensità e stupore cerca di spiegarmi il concetto di riflessività. Ci siamo incontrati per caso in stazione e ambedue stiamo andando a un incontro organizzato da Gilbert Probst, sistemico, ora economista all’Università di Ginevra. Lo attendono alla stazione Heinz von Foerster, Gordon Pask, Ernst von Glasersfeld per interminabili discussioni piene di aneddoti personali, storielle ed evidenze sulla loro passione cibernetica condivisa.
Mi ricordo le sue lezioni , richiedeva una lavagna in cui in un angolino disegnava l’occhio dell’osservatore per poi riempirla di circuiti circolari che tornavano su se stessi con la sua scrittura nervosa e lo stupore di coloro che lo ascoltavano entusiasti. Mi ricordo quando ha invitato il Centro milanese all’Expò di Milano nel 2015 al Padiglione del Cile di cui era ospite speciale. I nostri studenti che negli anni ’80 erano “obbligati” a studiarlo.
Un uomo affascinante, intenso – si diceva che avesse una donna che lo attendeva in ogni luogo in cui andava – era coerente a se stesso e sempre pronto a stupire e incantare con le operazioni recursive che proponeva. La comunicazione per lui era la coordinazione della coordinazione di azioni e significati, l’amore l’unica occasione perché fosse possibile uno scambio di informazioni: “l’amore è l’emozione che fonda il sociale, senza l’accettazione dell’altro in convivenza non c’è fenomeno sociale” – sosteneva.
Humberto Maturana, biologo, filosofo e scrittore è morto il 6 maggio di quest’anno a 92 anni (14 settembre 1928). Premio nazionale delle scienze in Cile, candidato al premio Nobel, aveva fondato il laboratorio di neurobiologia all’Università del Cile dove viveva. All’inizio collaborava con Francisco Varela con cui ha scritto Autopoiesi e cognizione (1972), L’albero della conoscenza (1985), con cui è spesso stato ospite al Biological Computer Laboratory di Urbana in Michigan, fondato da Heinz von Foerster.
Fritjor Capra e Peter Senge, lo consideravano loro maestro ma lo stesso Dalai Lama – di cui è stato interlocutore per molte conversazioni a Dharamsala- lo ha definito tale. All’inizio del nuovo secolo aveva fondato con la sua compagna Ximena Dàvila l’Associazione Matristica con l’intenzione di collaborare a formare una società etica. “Gli esseri umani sono il frutto della cooperazione per la conservazione, non della lotta per la sopravvivenza : bioevolutivamente siamo perché amiamo” sosteneva con convinzione.
Lo abbiamo amato tanto, ora ci ha lasciato. Il suo pensiero però continuerà a perturbarci e a sedimentare, offrendoci nuove possibilità e nuovi spunti.
Il ricordo di Marcelo Pakman
Hoy murió en Chile Humberto Maturana (1928-2021) de enorme influencia en el campo de la biología y de la terapia familiar. Después de conocerlo en 1985 en Buenos Aires mantuve contacto en ocasión de sus visitas a la American Society for Cybernetics donde era conocido como “Chicho”.
Recién llegado a los EEUU en 1989 la sociedad premió un artículo que yo había escrito sobre “Sistemas y sentimientos” pagándome el viaje a Virginia Beach el lugar de la reunión para que lo presentara. Humberto asistió a la presentación que le había recomendado Heinz von Foerster y entre otras cosas dijo que había allí algo nuevo que yo debía seguir y así lo hice: es de las raíces más tempranas de un trabajo que evolucionó en varias direcciones hasta la actualidad.
Esto fue un enorme estímulo en aquellos años tempranos. Con paciencia y un empecinamiento poco comunes recorrió el mundo explicando una y otra vez su teoría de la autopoieisis y las extensiones filosóficas que veía en campos diversos, incluido el de la psicoterapia. Siempre insistió que era un biólogo.
Otro encuentro fue en Chicago donde compartimos un almuerzo con su colega Ricardo Uribe, uno de los coautores de los primeros trabajos sobre autopoiesis, junto a Francisco Varela. En un par de horas esperando aviones allí mismo en Chicago hablamos de la influencia de lo que él llamaba la estrategia budista en relación tangencial con su trabajo y en contraste con mi formación judía en relación con lo que yo comenzaba a trabajar como poiesis en el sentido de llegada o nacimiento a la presencia. El desapego y el apego a la textura de lo real tal como se nos aparece. Alternada con una anécdota de un encuentro con Pinochet al que había dudado en ir y de un episodio más tardío que afectó a alguien muy cercano a él y derivó en una situación muy poco común en su vida emocional.
Hubo otros encuentros y otras cuestiones de entrecasa que tocaban al modo en que se estaba desarrollando el campo de la terapia familiar, incluido un conflicto en el que se había visto mezclado y en el que terminó siendo mediador. En aquellos encuentros se hizo una gracia despedirnos cantando bajito el estribillo y los versos finales del tango “A la luz del candil”:
¡Arrésteme, sargento,
Y póngame cadenas!…
¡si soy un delincuente,
Que me perdone dios!
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Las pruebas de la infamia
Las traigo en la maleta:
¡las trenzas de mi china
Y el corazón de él!
Que para Humberto ilustraban lo que era una persona responsable. Hace no mucho dijo que creía que iba a morir sin haber envejecido.
Que su memoria sea una bendición.
Bibliografia
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